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Dalla Toscana alla Silicon Valley con Steve Jobs, Marco Landi sull'intelligenza artificiale: "È ingannevole, le macchine non sostituiranno mai la mente umana"
Porta sempre con sé una foto di Piazza del Campo di Siena, “perché rappresenta la bellezza e la perfezione”, ma soprattutto perché, per un uomo nato a Chianciano che ha girato il mondo, è un simbolo di casa. Discutere di intelligenza artificiale con chi ha vissuto la rivoluzione Apple (ne è stato presidente) è un richiamo alla realtà. Ecco Marco Landi, 81 anni, il manager che nel '93 ha riportato Steve Jobs in Apple, sottolineando il suo peso nell’azienda. Ha vissuto la Cupertino che stava per creare gli smartphone e rivoluzionare le nostre vite. Con lui non parliamo del passato, ma di un presente che è già futuro, perché con la tecnologia il tempo ha un’altra velocità. Landi chiarisce subito: non chiamiamola intelligenza artificiale, ma sistema esperto. “L’intelligenza appartiene all’uomo”, e questo non cambierà mai.
Lo contattiamo in Francia, dove vive e ha creato una scuola in Costa Azzurra che insegna ai bambini delle medie come rapportarsi con l’intelligenza artificiale (“perché si deve imparare da piccoli”, dice). Il 22 luglio sarà a Firenze, all’evento organizzato dalla Regione Toscana dedicato a questa rivoluzione e all’Ai Act, la normativa europea che intende regolamentare il trasferimento e la tutela dei dati sensibili degli utenti.
L’intelligenza artificiale è diventata un termine comune, ma rappresenta una rivoluzione che avanza più rapidamente della burocrazia e delle leggi sulla privacy. Lei cosa ne pensa?
Intanto se ne parla troppo e male, improvvisamente è emersa questa IA generativa, alla portata di tutti. Fino al 2022 non c’era tutta questa ansia, questa frenesia. È come se si fosse scatenato il desiderio di dire “anch’io voglio esserci, anch’io voglio utilizzarla”. Soprattutto i giovani hanno cominciato a scoprire ChatGPT che facilita loro la vita.
Perché non è il modo giusto di parlarne?
Finché se ne parla, va bene, nessuno può impedirlo. Ma le dico che non è intelligenza, non potrà mai copiare la mente umana, per tanti motivi. La nostra è frutto di esperienza, amore, intuizione, relazioni con amici e parenti. Chiamarla “intelligenza artificiale” oggi fa solo paura. Quando ero più giovane e presidente di Texas Instruments, visitavo i laboratori di Dallas o Houston per scoprire le novità, e non ho mai sentito parlare di “intelligenza artificiale”.
E come la chiamavano?
Sistemi esperti. Questo dovrebbe essere il vero nome. È fuorviante, soprattutto per i giovani, perché ha creato solo paura e preoccupazione. Alla conferenza di Dortmund nel 1956, un gruppo di professori si riunì per discutere come imitare il cervello umano e creare applicazioni che facilitassero l’attività umana. Chiamarla “intelligenza artificiale” era affascinante, ma quel fascino si è rivelato ingannevole e pericoloso.
Oggi la macchina è ancora talmente stupida e limitata che per cambiarci dobbiamo essere veramente stupidi.
Lei, che è stato al centro della rivoluzione Apple, ci può dire che tipo di rivoluzione stiamo vivendo oggi con l’intelligenza artificiale.
Come ogni tecnologia, tutto dipende dall’uomo. Se diamo sempre più dati a una macchina, milioni, miliardi di dati grazie ai big data, abbiamo uno strumento che ci permette di prendere decisioni più velocemente ed efficientemente. Questa intelligenza artificiale, che preferisco chiamare sistema esperto, deve essere al servizio dell’uomo. La decisione finale non deve essere della macchina. Questo è il punto fondamentale.
E se stessimo delegando troppo alla macchina e la tecnologia cambiasse noi, esiste questo rischio?
La macchina oggi è talmente stupida e limitata che per cambiarci dobbiamo essere veramente stupidi. Dobbiamo saper utilizzare questa macchina, non diventarne schiavi. Un altro discorso sono i social network, dove stiamo diventando schiavi. I nostri giovani ne sono talmente attratti da sviluppare malattie psicologiche.
C’è un gap enorme tra la quantità di tecnologia disponibile e l’utilizzo che le imprese ne fanno.
È un altro discorso, ma c’è un trasferimento di dati anche attraverso i social che ha molto a che fare con l’intelligenza artificiale generativa.
Sì. Tra un paio d’anni entrerà in vigore la normativa europea sull’intelligenza artificiale. Utilizzando i social produciamo una quantità enorme di dati che possono essere utilizzati in modo inappropriato. Le aziende possono profilarmi e indurmi all’acquisto con pubblicità mirate. Ma il vero pericolo è che si conoscano le mie opinioni e si mettano a disposizione di un gruppo politico per influenzare il mio voto. Lo scandalo Cambridge Analytica con l’elezione di Trump è un esempio. La normativa cerca di proteggere questi dati e diversi paesi stanno seguendo il modello della Commissione Europea con l’Ai Act.
Qual è la strategia che i paesi devono attuare affinché l’intelligenza artificiale sia un’opportunità e un vantaggio?
Bisogna creare talenti che sappiano utilizzare l’intelligenza artificiale, perché oggi c’è un gap enorme tra la tecnologia disponibile e il suo utilizzo nelle imprese. Questo gap si sta allargando. Dobbiamo formare i ragazzi all’utilizzo della tecnologia sin da piccoli e accelerare la formazione dei professionisti. Ho creato la Maison dell’Intelligenza Artificiale in Costa Azzurra. Inoltre, ci sono poche donne in questo settore, soprattutto nel sud Europa. Ho creato l’Istituto Europeo dell’Intelligenza Artificiale anche per sensibilizzare il grande pubblico sul tema.
Bisogna creare centri di ricerca, scuole per i giovani e per le ragazze.
Ora si occupa molto di giovani talenti e start-up. Ha investito anche in un’azienda del senese?
Sì, sono presidente di QuestIt, la più bella azienda di intelligenza artificiale in Italia. Se fossimo in California, tutti parlerebbero di quello che facciamo.
Lei è di Chianciano, ma le sue scelte di vita lo hanno portato lontano. Cosa ha conservato dello spirito toscano?
Prima di tutto la bellezza, perché ci rende felici e dobbiamo capirla e preservarla. Sono stato a Hong Kong, Londra, Bruxelles, Francia, Dallas, Cupertino e ho sempre portato con me la foto di Piazza del Campo: è la perfezione, la bellezza che dobbiamo preservare. È il nostro umanesimo, che ha prodotto grandi personaggi come Lorenzo de’ Medici. I toscani hanno fatto cose eccezionali.
Come vede la Toscana tra qualche anno?
Se si sveglia e punta sulle nuove tecnologie, può cambiare. È una regione ricca di tantissime risorse, ammirate e invidiate da tutti. Ma non basta. Oggi bisogna creare centri di ricerca, scuole per i giovani e per le ragazze. La Toscana dovrebbe diventare un centro di eccellenza del turismo tecnologico. Questa è la sfida principale.